Quando scatti una foto sei lì dietro al mirino pronto a cogliere l’attimo senza soffermarti troppo poi, una volta terminato, riguardi le immagini cercando di capire cosa c’è dietro ogni espressione.
A questo punto inizi a pensare ed un lavoro che è nato come documentazione fotografica diventa un serio spunto di riflessione.
Guardi le espressioni malinconiche e tristi di questi (uso il termine con infinito affetto) vecchi che passano i loro giorni dentro una casa di riposo a guardare muri e televisione per passare il tempo, sempre in attesa di una qualsiasi novità che rompa la monotonia di giornate sempre uguali. I nostri vecchi, i nostri nonni, quelli che, per tacitare coscienze pelose bisognose di giustificazioni, vengono definiti in termini “politicamente corretti” anziani e poi scaricati in un ospizio, anche questo definito in modo “politicamente corretto”, casa degli anziani e poi dimenticati lì in attesa che termini la loro vita per poi riavvicinarsi a loro per l’ultima volta ed archiviarli definitivamente.
Ho visto visi scolpiti dal tempo e dalle vicissitudini della vita, ciascuno con la sua storia che si intravede se soltanto ci si ferma ad osservarli, ciascuno con la sua esperienza di sacrifici fatti per creare la propria vita, crescere i figli e giocare con i nipoti; con le loro storie da raccontare e leggende da tramandare, con la voglia di vivere e trovare chi ascolti le loro storie che, sono certo, sono interessantissime. Tutta gente che non si vuole arrendere allo scorrere di giorni tutti uguali fatti di muri bianchi e solitudine ed aspetta pazientemente, così come ha sempre fatto nella sua vita sino ad ora, che qualcosa cambi, che ci si ricordi di loro, che gli si ascolti.
Anche se preziosissimo, a poco vale il lavoro svolto dagli operatori sociali che seguono questi anziani, nonostante la loro dedizione non potranno mai surrogare la vicinanza dei figli, dei nipoti, dei vicini di casa, di chiunque faceva parte della loro vita e che adesso non vedono più o quasi.
Per quanto si possano impegnare gli operatori sociali non potranno mai alleviare la consapevolezza acquisita da questi vecchietti di essere stati abbandonati al loro destino, per quanto gli sia stato garantito un tetto, un’assistenza ed un letto caldo.
E’ l’essere stati emarginati dalla società che fa loro male, l’essere stati messi in un angolo come cose vecchie ed inutili, il non avere più il loro spazio vitale in cui svolgere i piccoli riti della vita quotidiana, il sentirsi ancora utili e non avere più nessuno (o quasi) vicino.
Eppure questi vecchi sono la nostra memoria storica, un’autentica miniera di informazioni su quanto c’era prima di noi, uno scrigno di cultura dove per cultura non viene soppesato il titolo di studio ma la conoscenza di fatti e luoghi; conoscenza mai documentata (sopratutto nei piccoli centri) che scomparirà per sempre alla loro morte.
Eppure basta poco per farli rivivere e risvegliare il loro interesse; è bastato lo scatto di una foto ed un sorriso e subito hanno iniziato a parlare e, in qualche caso, a sorridere; sono bastate poche parole per dare la stura a racconti di alcuni episodi della loro vita, magari con voce malferma e con qualche dettaglio incomprensibile ma con tutta la fierezza che portano ancora dentro.
Basterebbe poco: stargli più vicino, coinvolgerli in qualcosa, ascoltarli, farli sentire ancora utili e, in qualsiasi caso, non farli mai sentire abbandonati.
Non dimentichiamoli.
Non lo meritano.
Giorgio Ghiglieri
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